“LA GRANDE OCCASIONE E’ AL SUD”

La storia di Francesco Festa, allenatore dall'Inghilterra e ritorno

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di MARIA D’URSO

A volte per rincorrere i propri sogni non c’è bisogno di andare lontano. Può capitare di volare in Inghilterra, verso la “grande occasione” e sul più bello, decidere di ritornare a casa. Al Sud.
È successo a Francesco Festa, un giovane allenatore di 28 anni, nato a Taranto e cresciuto a Torre Annunziata. Parlammo di lui lo scorso anno sulle nostre colonne: Accrington avrebbe potuto segnare la svolta della carriera ma, dopo il primo raduno, il tecnico ha preferito tornare indietro. Questione di cuore. A qualcuno può essere sembrato un gesto apparentemente insensato o avventato ma, in realtà, è stata una scelta meditata: il suo unico sogno e obiettivo è quello di poter lavorare nella sua città. I soldi e il successo vengono dopo. Approdare alla Juve Stabia, un giorno, potrebbe essere il sogno che si avvera.
“Ho capito – racconta – che l’Inghilterra sarebbe stata un punto di partenza e non di arrivo, tutti erano contenti per me, ma non io. Non fraintendetemi: ero soddisfatto. E tanto. Ma c’era qualcosa, nel profondo, che non mi bastava. Nell’esatto momento in cui sono tornato indietro, ho realizzato che il mio lavoro è la mia casa. Letteralmente”.

Francesco non si è mai fermato. Vanta molte esperienze nel curriculum e quest’anno è la volta delle giovanili rossonere del Lanciano. Sul campo conserva ancora la grinta e l’ambizione degli esordi, il solito entusiasmo che si rinnova giorno per giorno, atleta dopo atleta. Insomma, ci vuole “cazzimma”: è facile andare altrove, ma è più difficile restare e combattere. Capire quali opportunità poter cogliere e sfruttare, in ambienti lavorativi spesso complicati.
I ragazzi sono la sua famiglia. Qual è il segreto? Fare ciò che ami rende tutto più facile, nonostante le sfide e gli ostacoli, che sono inevitabili. Ed è questo che trasmette ai suoi allievi: in campo devono soltanto giocare. “Cerco di tirar fuori il meglio di loro, lavorando principalmente sull’aspetto caratteriale e concentrandomi di meno sulla tecnica individuale. Per me, se hai carattere hai un buon 70% di possibilità per sfondare”. Per Francesco, il lavoro parte dalle gambe e si concretizza nella testa. Il campo non è il terreno di “battaglia”, bensì il luogo dello svago, del divertimento. “Fino ai 16 anni – precisa – deve essere così: poi l’atteggiamento verso il calcio deve iniziare a cambiare, per capire cosa fare nella propria vita”.
Di tempo per divertirsi e svagarsi, negli ultimi mesi, ce n’è stato poco. La tragedia Covid – 19, il mostro invisibile che è piombato di soppiatto nelle nostre vite, ha stravolto le abitudini quotidiane di tutti per quasi due mesi e mezzo. Ma non ha cambiato gli obiettivi di Francesco, che ora più che mai, è entusiasta della ripartenza e di questa nuova opportunità, che si tinge di rossonero: “Per me e per i ragazzi, si basa tutto sui rapporti umani: ritrovarsi chiusi in casa dall’oggi al domani, è stato strano. Quasi surreale per chi è abituato a passare la maggior parte del tempo all’aria aperta. Si perde la bellezza del contatto che è alla base del nostro settore. Ed è stato difficile per tutti, soprattutto per i miei ragazzi”.

Già, i suoi ragazzi. Tutti diversi fra loro. Francesco ne ha conosciuti davvero tanti negli ultimi anni ed è grazie alla loro stima, al rispetto dimostrato, che continua a credere nel suo lavoro. Crede sia una vocazione, oltre che essere un mestiere. “I ragazzi mi danno tanto e mi fanno sentire importante. Se chiedo qualcosa con la rabbia o la calma tipica del mister, loro sanno darmi sempre quello che voglio. Non è facile saper gestire i sentimenti, perché la maggior parte delle volte bisogna contenerli, per non evitare eventuali ripercussioni in campo. Ma loro sanno che possono fidarsi di me”.
C’è un ricordo a cui è affezionato particolarmente. Si tratta di un episodio legato alla sua Napoli. “Durante un allenamento vidi un ragazzo con la scarpa destra completamente rotta, e volevo che le cambiasse. Così ti ammazzi, te faje male! Gli ho urlato. Nun tenghe e’ ssorde pe mangiá, figurammece p’accattá e scarpe nove! Fu la sua risposta. Ci rimasi malissimo, mi sentivo in colpa. Così la mattina dopo andai a comprare delle scarpette nuove e gliele regalai. È stato in quel momento che ho ricordato chi, tempo prima, le aveva regalate a me con tutto l’amore del mondo. Ispirandomi ad essere la persona che sono adesso, specialmente con i ragazzi. Ogni giorno”.

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