Sulla questione indotto Ilva si registra l’intervento del presidente di Confindustria Taranto, Antonio Marinaro. Questo il testo integrale:
I fenomeni emissivi inquinanti intervenuti negli ultimi giorni sull’area di Taranto, oggetto della recente ordinanza del Sindaco Rinaldo Melucci, costituiscono senza ombra di dubbio la punta dell’iceberg di un problema che affonda le sue fondamenta nella storia stessa della grande industria. Il nostro auspicio, oggi, è rivolto senza dubbio alla chiarezza, nella consapevolezza che ogni ulteriore rinvio del problema non farebbe che rendere lo stesso più urgente e difficile da superare.
C’è, tuttavia, in questo momento convulso in cui convergono anche le fortissime tensioni di un sistema Paese messo a dura prova dalle note vicende socio-sanitarie, un aspetto fondamentale che la situazione emergenziale dell’ex Ilva di Taranto ha relegato quasi sempre sullo sfondo del già complesso scenario. Mi riferisco al grande senso di responsabilità che le aziende dell’indotto, dalla prima all’ultima, grandi medie o piccole che fossero, hanno finora assunto e mantenuto, malgrado – andato a ritroso e fino ad oggi – gli ingenti crediti pregressi persi nel calderone delle passività, la perdita di commesse, i ritardi, la frustrazione e la rabbia, fra rinvii e promesse non mantenute, e come se non bastasse una contrattazione nel tempo rivisitata a loro sfavore; a fronte di maglie sempre più strette, è infatti ovvio che le imprese si siano spesso ritrovate costrette a giocare al ribasso rischiando di tasca propria.
Perché parlo, quindi, di senso di responsabilità?
Perché ancora adesso, malgrado la situazione inerente i pagamenti corrisposti da Arcelor Mittal Italia non possa definirsi conclusa, le aziende coinvolte continuano a lavorare, con grandi difficoltà, assicurando con coscienza e spirito di abnegazione tutti i servizi, talvolta essenziali (non a caso definiti dalla stessa Ami “strategici”) per il prosieguo e il funzionamento del centro siderurgico. Nei giorni di novembre scorso, in cui le stesse imprese, esasperate per la situazione dei loro crediti, sospesero sia pure per breve tempo le loro attività, il colosso dell’acciaio ha rischiato davvero il fermo degli impianti: solo – lo ripeto – il senso di responsabilità degli imprenditori ha impedito che tutto ciò accadesse, con il disastroso effetto domino che si può immaginare.
L’ampia premessa per ribadire un concetto molto semplice: l’articolato sistema imprenditoriale dell’indotto ex Ilva di Taranto -che include i settori metalmeccanico, chimico, servizi, edilizia e trasporti – continua ad essere tenuto fuori dalle scelte operate in sede governativa malgrado le stesse aziende, la gran parte delle quali operanti nello stabilimento da diversi lustri, siano necessarie e talvolta strategiche rispetto alla continuità produttiva dello stabilimento siderurgico.
La trattativa di imminente definizione a livello centrale, per quanto ancora da considerarsi preliminare ad un accordo più specifico e definito nei suoi vari aspetti, non contempla infatti misure di garanzia per le imprese dell’indotto, né richiama le parti contraenti al rispetto di quanto contenuto nell’addendum al contratto siglato nel settembre 2018, che faceva specifico riferimento alla regolarità nei pagamenti alle aziende e ad altre forme di collaborazione eventuale fra le stesse e la multinazionale franco-indiana.
Dall’altra parte, ovvero nei rapporti fra le imprese fornitrici e Ami, persistono ancora adesso, malgrado il recente confronto in Prefettura e le rassicurazioni da parte dei referenti di Arcelor Mittal, situazioni di grande eterogeneità sul versante dei pagamenti effettuati, che vedono aziende ancora in forte difficoltà ed altre solo parzialmente saldate.
Sullo stesso fronte, abbiamo contezza delle molteplici incognite che in questo particolare momento gravano sulla città e sul futuro stesso dello stabilimento; incognite legate alla tutela dell’ambiente, alla tenuta dei livelli occupazionali, ai nuovi assetti societari.
Incognite “endogene” alle quali si aggiungono le allarmanti variabili esogene di un Paese intero costretto ad un “pit stop” di cui non si conoscono, per ovvi motivi, ancora i termini temporali, e che inevitabilmente si ripercuotono su tutto il sistema delle imprese, ancor più su quelle già fiaccate dalle contrazioni di un mercato peculiare come quello jonico.
Si tratta, come è evidente, di una condizione di estrema criticità ed incertezza che non lascia intravedere prospettive né di medio e tantomeno di lungo orizzonte a favore della continuità lavorativa delle attività produttive; ancora meno si profilano condizioni di crescita e di evoluzione, così come ipotizzato all’avvio del rapporto con la nuova cordata dell’acciaio, un anno e mezzo fa, in merito a progetti comuni in ambito di economia circolare e simbiosi industriale.
Con Ami, tenendo fede all’impegno di reciproca collaborazione assunto in sede istituzionale, cerchiamo ogni giorno di mantenere uno stabile livello di interlocuzione, che ci conduca a quella “normalità”, ancora non definita, che dovrebbe essere alla base dei rapporti fra azienda committente e aziende fornitrici.
Al Governo, torniamo ancora una volta, ed oggi ancora di più, a sollecitare l’attenzione verso l’indotto, con l’obiettivo di “riscrivere”, una volta per tutte – e a prescindere da quali dovessero essere i futuri assetti societari – le regole da seguire per restituire una garanzia di continuità ad aziende da troppo tempo private di ogni tipo di reale prospettiva.
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