“È assordante il silenzio che ruota sul presente e sul futuro immediato dello stabilimento ex Ilva di Taranto. Un silenzio che ha il sapore della morte mai annunciata ma decisa da tempo e che potrebbe portare ad una nuova, ancora più nefasta, amministrazione straordinaria”.
E’ quanto si legge in una nota degli imprenditori di Aigi (associazione indotto), che ” non intendono, per l’ennesima volta, essere considerati vittime sacrificali ed è per questo che l’assemblea delle aziende riunita nella serata di mercoledì 13 settembre ha deciso, all’unanimità, di proclamare lo stato di agitazione dichiarando, inoltre, l’organizzazione di manifestazioni di protesta.
Mancano certezze, mancano risposte dalle istituzioni locali e nazionali. Il rischio concreto è la chiusura dello stabilimento e con esso il collasso delle aziende dell’indotto e la messa in libertà del personale alle prese ormai dai troppo tempo con un grave stato di sofferenza finanziaria. La situazione di paralisi della fabbrica è sotto gli occhi di tutti: manca la produzione, autorizzata dalle normative vigenti a sei milioni di tonnellate l’anno, manca la programmazione e un piano industriale di rilancio di quello che è ancora il colosso siderurgico più grande d’Europa e alla cui produzione d’acciaio è legato il prodotto interno lordo non solo regionale ma anche e soprattutto dell’intera nazione. Se è vero che l’acciaio prodotto a Taranto garantirebbe all’Italia di non acquistare il prodotto dalla Cina o dai competitor europei per realizzare le grandi opere in cantiere, Il Governo e il socio privato devono necessariamente fornire risposte al territorio, alle imprese e ai lavoratori.
Abbiamo richiesto diverse settimane fa al Prefetto, la mediazione al fine di ottenere la convocazione di un tavolo tecnico ministeriale senza ottenere ad oggi risposte. Quello che i soci Aigi chiedono è rispetto per le aziende e per il territorio”.
IL CONSIGLIO GENERALE AIGI
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