-354 attività nei primi 9 mesi del 2019. E’ questo il dato che emerge dalla fredda lettura numerica (Registro delle imprese della Camera di commercio di Taranto) dell’andamento trimestrale delle imprese del commercio, turismo e servizi nel territorio provinciale. Un dato quasi certamente destinato a crescere, essendovi una situazione economica che al momento non lascia sperare in una risalita. Un dato che, già oggi – al 3° trimestre-, non è molto distante dalla chiusura del 2018 (– 399 unità).
Si entrerà purtroppo nel 2020 con una perdita di circa un paio di migliaia di attività in 5 anni, e se si fa una media di 3 unità lavorative ad attività, siamo a circa 5 mila posti di lavoro persi nel Terziario. Imprese e lavoratori di cui non si parla e del cui destino poco ci si preoccupa.
Ora all’orizzonte si profila un nuovo dramma economico e sociale per il territorio e giustamente ci si preoccupa del futuro dei lavoratori diretti dell’ex ILVA e dell’indotto siderurgico. L’auspicio di ConfcommercioTaranto è che si possa trovare una giusta e dignitosa soluzione che in qualche modo contempli lavoro, salute ed ambiente. Certamente la prospettiva dell’avvio di una ennesima procedura di cassa integrazione dei lavoratori del siderurgico spaventa tutti, considerato che già ora la situazione è critica e che le ditte dell’indotto, ormai in ginocchio, annunciano nuovi tagli. E comunque è l’intera economia del territorio ad essere ormai stretta nella morsa di una lunga crisi strutturale nella quale Taranto e la sua provincia scivolano sempre più in basso (89° posto su 110 provincie italiane, secondo la classifica di ItaliaOggi, un punto in meno rispetto allo scorso anno e ben 5 posizioni sotto, rispetto all’87)
Il territorio è in attesa di una risoluzione della vertenza ILVA che dia il tempo necessario per programmare un ‘futuro’ per Taranto senza la fabbrica, un futuro che non potrà e non dovrà essere lontano. Ed allora è non meno importante, infatti, che si riservi la stessa attenzione al tema della programmazione e del cambiamento, come già 6 anni fa ConfcommercioTaranto chiedeva a viva voce in una memorabile giornata – ‘Taranto… cambiare si può’ – alla presenza della dirigenza nazionale di Confcommercio e dei rappresentanti del Governo, dedicata allo scenario e alle proposte per la costruzione di uno sviluppo futuro di Taranto e della sua provincia oltre l’acciaio. Sei anni durante i quali poco si è fatto per uscire dalla mono dipendenza della economia provinciale dalla siderurgia. Anni preziosi persi dietro al sogno di dare un volto buono alla fabbrica cattiva. Anni che sono costati tanto alla comunità jonica, e non solo in termini ambientali, salutari ed economici, ma anche sociali e culturali.
Oggi Taranto è una città lacerata e divisa, con una labile tenuta sociale. Una città ferita sotto tutti i punti vista e non solo sotto l’aspetto ambientale e sanitario.
Il commercio che vive e registra gli umori della strada ed il sentiment del cittadino comune, è la carta assorbente di un comune sentire fatto di sfiducia e malessere, purtroppo la definizione ‘Sono di Taranto’ non per tutti è motivo di orgoglio. La gente non ha più voglia di andare per strada, di vivere le vie e le piazze del capoluogo tarantino, fors’anche perché ha smesso di riconoscersi in quel luogo che prima era il riferimento di un interro territorio provinciale.
Troppo dolore, troppe le delusioni, perché la crisi dell’Ilva è stata anche la crisi della agricoltura, della mitilicoltura, un settore quest’ultimo che più di tutti ha registrato sulla propria pelle il disastro ambientale nella totale indifferenza della politica.
Il turismo? Emblematica la vicenda della Soprintendenza persa, una beffa toccata proprio a Taranto, la ‘Capitale della Magna Grecia’! E ancora: i collegamenti ferroviari, il ridimensionamento degli insediamenti militari di Aereonautica e Marina, la chiusura della Banca d’Italia, e l’Università, l’eterna incompiuta Taranto/Avetrana … sconfitte che i Tarantini hanno imparato a farsi scivolare addosso con stoica indifferenza.
Tutto questo incide sul tessuto sociale ed economico del territorio, che sopravvive ormai barcamenandosi in un quotidiano dove manca la progettualità. E così i magazzini Coin chiudono, ma chiudono anche negozi storici con brand importanti, ed il Borgo di Taranto è ormai una sequenza di saracinesche abbassate.
Le ragioni sono tante e comuni ad altre città italiane; certamente sono mutati gli stili di vita e di consumo, ma non si possono ignorare gli effetti traumatici di sei anni di stillicidio mediatico continuo, devastante per l’ immagine di Taranto, ormai conosciuta soprattutto per i suoi morti di cancro, per le cozze e le pecore alla diossina, per l’inquinamento, per le mamme disperate, per il wind day.
Si ragiona di alternative economiche e di nuovi scenari di rilancio dell’economia jonica ormai da 5 anni, e forse solamente ora – rende noto l’Amministrazione locale- sono disponibili le risorse del Cipe per la realizzazione di 12 progetti per il rilancio di Città Vecchia.
L’Arsenale militare, l’Ospedale San Cataldo, la rigenerazione di Città Vecchia, la bonifica del Mar Piccolo: investimenti del CIS Taranto (Contratto Istituzionale di Sviluppo) del 2105 che la comunità jonica attende con grande speranza e dove a fronte di una copertura finanziaria complessiva di 1,1 miliardi di euro – ha reso noto ad ottobre scorso il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Mario Turco- è stata realizzata una spesa di soli 314 milioni di euro (dicembre 2015-giugno 2019); molti sono – ha fatto sapere l’uomo di governo- gli interventi lontani da esecuzione, in ambito ambientale, sanitario, infrastrutturale e della rigenerazione urbana.
Ed allora ben venga il Cantiere Taranto del presidente Conte, ben vengano tutti i progetti e le migliori idee da mettere in campo per rilanciare la città bi-mare e la sua provincia (Blue Economy; Università e polo di ricerca; Innovazione; Green Economy; Sanità di eccellenza etc.), ma attenzione purché vi sia la concreta volontà di fare, purché si prenda finalmente atto che – a prescindere dalla ‘soluzione’ che sarà trovata in queste ore per uscire dalla ennesima emergenza IlVA- , vi è la necessità di operare concretamente per dare un futuro a questo territorio che oggi perde le sue menti migliori, una drammatica emorragia di giovani (per studio e per lavoro) che emigrano per non tornare più.
Per rilanciare il sistema produttivo locale è necessario operare una reale discontinuità con le politiche economiche territoriali portate avanti sino ad oggi; occorrono segnali forti di cambiamento già da subito.
Ed infine, per concludere, quattro azioni da mettere in pista a brevissimo termine: 1) istituzione della Zona Franca Urbana per favorire attraverso la defiscalizzazione e la decontribuzione delle imprese, la ripresa economico-sociale del territorio; 2) adozione di strumenti di politica economica agevolativa come ad esempio la No Tax Area; 3) politiche del credito a sostegno delle imprese; 4) interventi di marketing finalizzati a rilanciare l’immagine del territorio.
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