Trecento compresse, sette iniezioni, quattro o cinque ore di flebo. È la terapia che il leccese Carlo Calcagni deve osservare rigorosamente ogni santo giorno. Insieme ad altri trattamenti che gli provocano dolori forti. Ha un catetere permanente trapiantato in corpo, responsabile di setticemie batteriche da infezione. Un corpo devastato da ciò con cui nessun uomo riuscirebbe a convivere, nemmeno per poche ore. Il colonnello nel ruolo d’Onore dell’Esercito è un grande esempio. Di determinazione, di vigore, di attaccamento alla vita, che va affrontata in qualsiasi condizione. Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscerlo. Perché condividiamo la stessa passione, quella per le due ruote, ho potuto pedalare insieme a un uomo cordiale, accogliente, generoso. Un uomo sorridente. Lo incontrai quando il suo corpo gli consentiva di gareggiare su una tradizionale bici da corsa. Ora utilizza il triciclo per problemi neurologici. Dal ciclismo deve aver appreso la capacità di stringere i denti, di andare oltre il dolore; oltre la soglia di sopportazione, che in lui dev’essere spinta all’estremo. È un militare dalla fede incrollabile. Ha creduto e continua a credere nell’Arma condividendone i valori: sacrificio, forza, coraggio, speranza; senso del dovere e dello Stato.
LA MALATTIA
Il paracadutista e pilota istruttore di elicotteri si è ammalato pochi anni dopo la missione in Bosnia-Erzegovina, nel 1996. Una missione di “peacekeeping”. Che gli ha procurato una massiccia contaminazione da metalli pesanti, tossici fisicamente e chimicamente (non asportabili), e conseguente Sensibilità chimica multipla (Mcs); cardiopatia, Parkinson ed altre patologie invalidanti. Dal 2010 è in cura presso una struttura inglese. Funziona, ma lo stato precario di salute persevera in un processo irreversibile. Nessun miracolo è possibile per la guarigione completa. Eppure, sospendendo le terapie, per un periodo di tre mesi, Carlo Calcagni è riuscito in un’altra impresa. La più grande probabilmente: diventare papà. Nei due figli, nella sua famiglia, nei tanti amici e sostenitori trova le motivazioni per andare avanti, per adempiere alla propria missione rinnovandola ogni giorno: sentendosi un condannato a morte, come lo siamo tutti in fondo, deve trovare la gioia di vivere. E non solo la forza.
IO SONO IL COLONNELLO
La storia di Carlo Calcagni è raccontata da Michelangelo Gratton per Ability Channel. Il regista ne ha messo in risalto le gesta sportive: le due medaglie d’oro conquistate con il gruppo sportivo della Difesa ai campionati mondiali di paraciclismo nel 2015, le tre vittorie agli Invictus Games 2016 di Orlando, in Florida. Portato negli istituti scolastici, nei luoghi della formazione e del sapere, la pellicola ha il merito di riaccendere i riflettori su una tematica tanto delicata, forte. È un docufilm di un’ora e mezza. Dove non ci sono attori: non c’è finzione.
La bicicletta è la fedele compagna di Carlo Calcagni. Pedalare per lui è una necessità e un piacere, un diritto-dovere: costretto a sudare per ossigenarsi, espellendo tossine e liquidi, deve farlo abbondantemente, costantemente – ha un’insufficienza respiratoria, una fibrosi polmonare gli ha lasciato più di duecento punti di sutura dopo l’intervento (“quelle sono le mie medaglie”, confida). È sempre stato uno sportivo, di livello eccellente. Come ha ricordato recentemente, ha preso parte a competizioni importanti, nazionali e internazionali: nel 2001, alla Granfondo del Terminillo firmò un’impresa da leggenda con una fuga di 180 chilometri, su 200 di gara, conclusasi con un distacco di 19 minuti sul secondo.
Poteva fare il professionista, ricevette un’offerta; ma scelse di restare nell’esercito a fare il proprio dovere. Se avesse fatto il corridore, sarebbe stata una vita di sacrifici. Ma infinitamente inferiori a quanto è costretto a patire oggi. Tanto si può aggiungere a questa storia: la lunga battaglia con l’Asl per il rimborso delle spese mediche esose; la squalifica per doping (ennesima ingiustizia, conseguenza dei medicinali salva-vita); le cause della malattia, tra denunce, sospetti e verità nascoste, in quella che può essere definita una strage silenziosa. Ci soffermiamo (per ora) sulla vicenda umana e sportiva, invitando la “sorte” a realizzare il prossimo obiettivo sogno del ciclista: la partecipazione al Mondiale di paraciclismo che si terrà in Italia, a Maniago, nella provincia di Pordenone, nel mese di agosto.
(Paolo Arrivo)