PESCAVAVANO ABUSIVAMENTE DATTERI: DUE ARRESTI DELLA CAPITANERIA

Smantellata catena ecocriminale: agiva nella rada del Mar Grande di Taranto

Personale della Capitaneria di porto – Guardia Costiera, a seguito di una complessa attività di indagine, condotta sotto il coordinamento investigativo della Procura della Repubblica di Taranto, ha posto in esecuzione una Ordinanza di applicazione di misure cautelari a emessa dal G.I.P. del Tribunale di Taranto a carico di taluni soggetti indagati – in concorso tra loro per numerosi episodi alla pesca di frodo della specie marina Lithofaga Lithofaga (comunemente datteri di mare) nella Rada Mar Grande del porto di Taranto e più precisamente nelle zone secca della Tarantola e Isole Cheradi (San Pietro e San Paolo), dalle cui azioni, protattesi nel tempo, A fondamento della contestazione e stata evidenziata l’ipotizzata distruzione di lunghi tratti di scogliera marina, il deterioramento delle acque marine e dei relativi fondali rocciosi, dell’ecosistema e della biodiversità ivi esistente, nonché l’alterazione irreversibile di tale ecosistema; ciò al fine di ottenere un ingiusto guadagno derivante dalla vendita abusiva del suddetto prodotto ittico, in assenza, peraltro, della preventiva depurazione e, quindi, potenzialmente pericoloso per la salute
pubblica.
Tra i reati contestati ai due indagati posti agli arresti domiciliari quelli di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.) e di disastro ambientale (art. 452 quater c.p.), poiché mediante la costante e ripetuta demolizione di scogliere frangiflutti
per l’asportazione dei datteri avrebbero provocato l’alterazione dell’ecosistema marino interessato dalle illecite attività sopra descritte e l’alterazione della biodiversità presente nelle acque del capoluogo jonico.
Le attività investigative, diuturnamente protrattesi per mesi da parte del nucleo di polizia giudiziaria della Guardia Costiera di Taranto attraverso l’utilizzo di investigazioni di natura tecnica e intercettative, hanno consentito, di ricostruire e cristallizzare in termini di dettaglio un quadro di responsabilità di notevole complessità con gravi ripercussioni di natura ambientale.

Nel corso delle stesse indagini che hanno portato al sequestro di numerosi quantitativi della specie risorsa di notevoli dimensioni tanto da ipotizzare uno stadio stimabile di relativa crescita degli esemplari illecitamente pescati in decenni, venivano accertati ripetuti e numerosi prelievi dei suddetti datteri di mare estratti, mediante strumenti invasivi.
Così come anche accertato da specifiche videoriprese subacquee effettuate gli investigatori della Guardia Costiera hanno potuto constatare come detta attività di estrazione illecita dei datteri dal loro habitat naturale protetto abbia, nel tempo, provocato il deturpamento della scogliera tramite picchettatura e la conseguente depauperazione dell’ecosistema marino causando la perforazione e sgretolamento delle scogliere e il danneggiamento dell’ecosistema marino con l’evidente conseguenza di determinare gravi fenomeni di disastro ambientale
derivanti dall’impiego dei suddetti mezzi in attività di pesca di frodo. Il tutto finalizzato a costituire una vera e propria catena di illecita commercializzazione operante in spregio al divieto assoluto di pesca e commercializzazione
stessa della specie stabilito da fonti normative internazionali, eurounitarie e nazionali.


Il dattero di mare risulta, infatti, inserito nell’elenco di specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa sin dalla direttiva habitat n. 92/43/CEE del 21 maggio 1992, mentre l’art. 8 comma 3, del regolamento CE
1967/2006, ne vieta la cattura, la detenzione a bordo, il trasbordo, lo sbarco, il magazzinaggio, la vendita e la esposizione o messa in vendita del dattero di mare e del dattero bianco.
L’impatto poi prodotto dalla relativa pesca genera ripercussioni gravissime non solo sulla stessa specie a causa del continuo assottigliarsi del popolamento dovuto a prelievi indiscriminati che abbassano il tasso di riproduzione e portano a delle estinzioni locali, ma anche sulla fauna e la flora bentoniche esistenti in un determinato sito, che sono quasi azzerate con devastanti conseguenze a carico delle biocenosi che abitano le pareti rocciose.
Da evidenziare altresì che, nel caso in specie, i siti di estrazione rientrano in quella fascia costiera orientale Jonica-Salentina riconosciuta come area di notevole interesse pubblico, e, in particolare, all’interno di un’area protetta quale è il Mar Piccolo di Taranto (D.M. 27 aprile 2010) tra l’altro assoggettata a vincoli paesaggistici, circostanze, quest’ultime, che hanno ancor più aggravato la condotta criminosa posta in essere dagli arrestati sprezzante delle conseguenze disastrose ai danni dell’ambiente, della specie e del bene comune e finalizzata, in maniera esclusiva, a trarne un significativo ritorno economico derivante dalla commercializzazione, anch’essa illecita, sul territorio degli esemplari forzosamente estirpati dal loro habitat naturale protetto.

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