L’inno di Mameli ha salutato l’arrivo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Taranto per la cerimonia di inaugurazione del nuovo anno scolastico. Nella scuola primaria Giovanni Falcone del quartiere Paolo VI, recentemente rimessa a nuovo dopo essere stata distrutta da atti vandalici, il Capo dello Stato, accompagnato dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, ha stretto la mano a decine di studenti che sbandieravano un drappo tricolore. Una festa segnata dal videomessaggio dallo spazio dell’astronauta Paolo Nespoli e da quello, tutto da ridere, dell’attore pugliese Checco Zalone. Il discorso d Mattarella ha toccato anche il tema del vandalismo: «Chi distrugge le scuole, chi compie atti di vandalismi, provoca una grave ferita non solo a se stesso ma a tutti voi studenti, quando si danneggia una scuola viene ferita in realtà l’intera comunità nazionale – ha detto il presidente della Repubblica -. Allo stesso modo quando una scuola risorge dalle macerie di un terremoto e dalle devastazioni teppistiche, è motivo di sollievo per l’intera società» e «qui a Taranto la cittadinanza intera si è mobilitata».
Con il presidente Mattarella la ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli. Con grande discrezione, ma con un apporto importante per la riuscita della manifestazione, il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, Anna Cammalleri. A fare gli onori di casa il dirigente scolastico Antonia Caforio. E poi tante autorità, rappresentanti dello Stato, delle Forze Armate, della Regione Puglia (con Michele Emiliano in testa) e della provincia di Taranto. Resta il tema per cui l’evento si è celebrato al plesso “Falcone”. Abbiamo chiesto al dottor Ciro Fiore, giudice del tribunale per i minorenni di Taranto, quali possono essere le cause degli atti di vandalismo scolastico, come quello perpetrato ai danni dell’Istituto Comprensivo Pirandello. «È sempre difficile comprendere le reali ragioni che portano una persona a compiere atti gratuiti di danneggiamento, atti di vandalismo. In alcuni casi alla base di tali gesti è il desiderio di vendicarsi di un torto subito, di una ingiustizia reale o ritenuta tale.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi e soprattutto quando si tratta di danneggiamenti commessi da giovani, e non parlo solo dei minori o degli adolescenti, non c’è una reale ragione e addirittura manca persino la consapevolezza di commettere un fatto illecito. Basti pensare alle scritte che oramai invadono qualsiasi città, dal nord al sud dell’Italia, e deturpano persino i monumenti, privi del tutto della dignità della Street Art. Ed è interessante notare come nel corso degli anni siano progressivamente scomparsi dai muri i messaggi ideologizzati e le dichiarazioni di entusiasmo calcistico, mentre sono sempre di più i glifi incomprensibili, le espressioni volgari e addirittura – al tempo dei social e delle messaggerie elettroniche – le dichiarazioni anonime di amore o di interesse per una persona, gli auguri di compleanno e via dicendo. In passato le manifestazioni ideologizzate potevano anche avere un senso, così come si riconosce una funzione sociale ai murales della Street Art, ma oggi gli imbrattamenti (non escluse le dichiarazioni d’amore) manifestano solo un disagio personale, una incapacità di comunicazione e in alcuni casi un anonimo grido di aiuto, che la società contemporanea sembra avere difficoltà a cogliere e intercettare.
È in questo disagio che si collocano gli episodi di vandalismo perpetrato ai danni degli istituti scolastici, e quello dell’istituto Pirandello di Taranto e solo uno dei tanti analoghi episodi che riempiono quotidianamente le cronache locali e nazionali. Ma la cosa più sconcertante è che gli autori, soprattutto quando si tratta di minori, non sanno mai giustificare le ragioni dei loro atti, se non attribuendoli alla “noia” ed “alla voglia di fare qualcosa di diverso”, senza provare alcuna meraviglia per l’entità della devastazione. Insomma in casi come quelli della Pirandello non è la estrazione della istituzione scolastica, In quanto tale, a motivare l’atto vandalico. Piuttosto esso è espressione di un grave disagio giovanile, che nella maggior parte dei casi affonda le sue radici in un più importante disagio familiare, quasi sempre connotato da gravi limiti nelle capacità educative dei genitori, e ciò indipendentemente dal ceto di appartenenza della famiglia. In questo senso, se è vero che la scuola gioca un ruolo importantissimo nella formazione dei giovani, e anche vero che forse arrivato il momento che la scuola rimette al centro della formazione giovanile, sin dalle prime classi, un efficiente programma di educazione alla legalità, che non può prescindere dal recupero, in qualche modo, dell’insegnamento della educazione civica, comunque la si voglia chiamare. Una materia un tempo obbligatorie ed oggi rimessa esclusivamente alla iniziativa spontanea di taluni insegnanti. I più illuminati ».