Dopo 12 anni dall’esordio della vertenza ex-Ilva, lo Stato Italiano, nonostante le sentenze di condanna della CEDU emesse in questi anni e gli innumerevoli, quanto fallimentari, tentativi dei governi precedenti, torna a salvare la produzione dell’ex Ilva, calpestando ancora una volta la dignità dei tarantini, il nostro diritto alla salute e a vivere in un ambiente salubre.
In queste ore, infatti, il Consiglio dei Ministri ha varato l’ennesimo decreto-legge volto a tutelare i creditori dell’ex Ilva, estendendo la Cassa Integrazione Straordinaria a tutti i lavoratori dell’indotto. Tale provvedimento prevede accesso privilegiato al Fondo di garanzia PMI, interventi per contenere i tassi di interesse sui finanziamenti e la prededucibilità dei crediti per le istituzioni bancarie.
L’operazione di salvataggio dei creditori coinvolge anche Sace e, presumibilmente, Mediocredito Centrale, quest’ultimo potrebbe acquisire i crediti certificati a condizioni di mercato. Sace, d’altro canto, offrirà garanzia finanziaria fino al 70% di un importo massimo di crediti pari a 150 milioni, a favore dei cessionari.
Il decreto, ovviamente, mira esclusivamente a preservare la continuità produttiva.
Sono previsti, inoltre, interventi per la cassa integrazione, con l’INPS che riconoscerà un’indennità ai lavoratori subordinati per un periodo non superiore a sei settimane nel 2024.
Come dicevamo, questo è solo l’ultimo, in ordine temporale, di una serie di finanziamenti pubblici in favore dell’ex Ilva che si conferma una questione irrisolvibile, se non con la chiusura e la riconversione economica dell’intera provincia ionica, attraverso la riqualificazione professionale dell’intera forza lavoro, diretta e indiretta.
Nonostante l’Europa imponga restrizioni sui finanziamenti pubblici, vietando gli aiuti di Stato, attingendo ai dati presenti sul web, abbiamo fatto un breve riepilogo delle somme stanziate, dal 2012 ad oggi, trasversalmente, da tutti i governi, di ogni colore politico, per il salvataggio dell’ex Ilva:
– 2012 (Governo Monti): 336 milioni di euro per garantire la continuità produttiva e occupazionale;
– 2015 (Governo Renzi): 300 milioni di euro per il piano ambientale e 100 milioni di euro per la cassa integrazione;
– 2017 (Governo Gentiloni): Prestito ponte di 300 milioni di euro per il passaggio ad ArcelorMittal;
– 2019 (Governo Conte): Finanziamento soci di 400 milioni di euro tramite Invitalia;
– 2020 (Governo Conte): Decreto legge per ulteriori 200 milioni di euro a causa della crisi pandemica;
– 2021 (Governo Draghi): 575 milioni di euro per la decarbonizzazione, prestito ponte di 680 milioni e scudo penale per la trattativa con ArcelorMittal;
– 2022 (Governo Meloni): Annuncio di un intervento fino a un miliardo di euro con possibilità di nazionalizzazione, nuovo partner o commissariamento;
– 2023 (Governo Meloni): Inserimento nel decreto Aiuti Bis di norma specifica, utilizzo di 680 milioni come finanziamento soci.
Per quanto, invece, riguarda la Cassa Integrazione, abbiamo fatto una stima dei costi elaborando i dati presenti in rete:
– 2012-2015: Stima di 76 milioni di ore e 1,12 miliardi di euro.
– 2016-2019: Stima di 38,4 milioni di ore e 544 milioni di euro.
– 2020-2024: Stima di 45,6 milioni di ore e 644 milioni di euro.
Per un totale stimato, nel periodo 2012-2024, di 160 milioni di ore e 2,3 miliardi di euro, elevabile a 3,22 miliardi di euro se includiamo i lavoratori dell’indotto.
Da questa analisi si evince che, in dodici anni, sono stati letteralmente bruciati oltre 7 miliardi di euro.
Il Partito Liberale di Taranto, alla luce di queste cifre spaventose, si chiede se davvero non sarebbe stato più conveniente, non solo per la salute e per l’ambiente, ma anche dal punto di vista economico-finanziario, investire in un reale e totale cambio di paradigma. Riteniamo, infatti, che la libera economia rappresenti un motore di crescita, sostenendo la minima interferenza dello Stato, tanto più se, come in questo caso, non parliamo di investimenti ma di una infusione di liquidità ad una fabbrica senza futuro.
In questi anni Taranto ha subito una imperdonabile perdita di opportunità in favore del salvataggio di un’industria desueta e fuori mercato.
Siamo certi che l’economia della città avrebbe potuto beneficiare notevolmente se tali ingenti somme fossero state destinate alla riconversione economica.
Ribadiamo con forza che Taranto merita di emanciparsi dalla monocultura dell’acciaio e di poter finalmente costruire un futuro diverso.
Mirko Maiorino (Partito Liberale Italiano – Taranto)