INQUINAMENTO A MARE E NEL SUOLO: SIGILLI A IMPIANTO DI PESCICOLTURA

Operazione della Guardia Costiera a mar Grande, zona San Vito (VIDEO)

La Guardia Costiera diretta dal Capitano di Vascello Rosario Meo a seguito di una complessa attività di indagine, condotta sotto il coordinamento investigativo della Procura della Repubblica di Taranto, ha notificato relativo avviso di garanzia nei confronti di cinque (5) soggetti che a vario titolo risulterebbero coinvolti in attività illecite di natura ambientale perpetrate da parte di uno dei più importanti stabilimenti di pescicoltura presenti lungo il litorale costiero tarantino, a mar Grande, zona San Vito.
Tra i reati contestati quelli di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.), adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 c.p.), gestione illecita dei rifiuti (art. 256, c. 3,del d.lgs 152/2006), impedimento del controllo e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 452 septies c.p. – art. 388 c.p.), poiché
mediante lo scarico in mare e nel suolo dei reflui derivanti dal processo di lavorazione industriale dello stabilimento avrebbero provocato l’alterazione dell’ecosistema marino e la conseguente intossicazione del prodotto ittico allevato nello specchio acqueo antistante.
Le attività investigative, diuturnamente protrattesi per mesi da parte del nucleo di polizia giudiziaria della Guardia Costiera di Taranto attraverso l’utilizzo di investigazioni di natura tecnica e intercettative, hanno consentito, di ricostruire e cristallizzare in maniera capillare un quadro di responsabilità di notevole complessità finalizzato
alla gestione illecita del rifiuto derivante dalle acque di scarico dell’impianto di acquacoltura, dapprima sversato deliberatamente in mare ed in una seconda fase direttamente nel suolo, generando in tal modo l’inquinamento dell’intera area che rientra nel P.P.T.R. – PAE0141 e, quindi, sottoposta ad una serie di vincoli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e demaniali, nonché caratterizzata dalla presenza di numerosi impianti di allevamento di mitili e vongole.
Nello specifico, l’impianto di acquacoltura in oggetto era già stato sottoposto a sequestro nel 2019 per occupazione demaniale abusiva, con concessione della facoltà d’uso da parte del Tribunale, a condizione che il processo di smaltimento delle acque reflue avvenisse esclusivamente per il tramite di autocisterne.
Tuttavia, durante le indagini sarebbe emerso che il proprietario dello stabilimento e i suoi dipendenti avrebbero eluso i controlli degli organi di vigilanza, che periodicamente si recavano presso l’impianto per verificare l’applicazione delle disposizioni dettate dal Giudice dibattimentale.
L’impedimento del controllo consisteva nell’installazione, durante le ore notturne ed in maniera cadenzata e fissa, di una tubatura bypass alla tubazione che conduce le acque di lavorazione del processo produttivo dello stabilimento nella vasca di raccolta. Tale bypass permetteva la deviazione e lo sversamento delle acque di scarico prima in mare e poi direttamente nel suolo.
L’attività criminosa risultava tesa a diminuire, se non annullare gli scarichi mediante autocisterne, ottenendo, quindi, un considerevole risparmio economico quantificato in 362.041,68 euro a danno dell’ambiente marino e costiero che veniva deliberatamente inquinato e compromesso.
Sul punto giova precisare, che nel caso di specie, pur trattandosi di sversamento di acque reflue, ha trovato applicazione la disciplina dei rifiuti. In particolare, la raccolta dei reflui all’interno delle vasche interrompeva la necessaria continuità tra il luogo in cui i reflui venivano prodotti ed il recapito finale, configurando, pertanto, il refluo
come rifiuto liquido, il cui smaltimento avrebbe dovuto essere come tale autorizzato.
Ed invero, lo smaltimento autorizzato consisteva nell’intervento di autocisterne specializzate ed autorizzate al prelievo di tali rifiuti, che tuttavia sono state incaricate solo di rado, laddove si rendeva necessaria una prova documentale del loro intervento da esibire agli organi di controllo.
Allarmante sarebbe stata, poi, l’immissione incontrollata e deliberata in mare e nel suolo di batteri quali escherichia-coli, scarti di mangime e feci animali nonché sostanze chimiche come ipocloriti che evidentemente hanno generato delle alterazioni in senso negativo all’ecosistema marino ed all’ambiente in generale.
Difatti già nel dicembre 2021 e nel giugno 2022 venivano accertati l’inquinamento dei mitili insistenti a poche centinaia di metri dall’impianto, tanto da condurre l’ASL di Taranto ad emanare un provvedimento di declassamento da “A” a “C” delle acquedi quella zona.
Nel giugno 2022, poi, altri due rapporti di prova evidenziavano valori di escherichia coli rispettivamente pari a 780 MPN/100gr e 4900/100gr, che non solo risultavano elevati ma soprattutto ingiustificati se non da eventi straordinari.
Attraverso la complessa e strutturata operazione in questione è stato posto un freno, quindi, al deliberato inquinamento marino perpetrato dall’importante stabilimento di allevamento di pesci della città, a tutela del suo delicato ecosistema, per la cui salvaguardia ogni giorno le donne e gli uomini della Guardia Costiera sono e continueranno ed essere in prima linea per contrastare qualsiasi forma di aggressione ad esso arrecata dalla ecocriminalità ambientale.
Per gli indagati vige, comunque, il principio di presunzione di innocenza fino a pronuncia di sentenza definitiva di condanna.

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