Non solo di coronavirus. Il TaTÀ è tornato ad essere in questi giorni obiettivo dei ladri di rame.
I cavi elettrici attinenti ai diversi impianti che servono la sala sono stati portati via, insieme a centinaia di pannelli solari sistemati sulle terrazze degli immobili.
Gli edifici del TaTÀ, – si legge in una nota del Teatro Crest – al quartiere Tamburi di Taranto, sono l’ultimo fortino e testimonianza di vita, l’ultimo avamposto di un corpo di fabbricati abbandonati al degrado, a riprova dello scempio del bene pubblico lasciato perpetrare dalle Istituzioni tutte della città e dalla Provincia che ne è proprietaria.
Il Crest ha sempre e pubblicamente espresso la scelta di rimanere ad operare in quello spazio e in quel quartiere motivando con una chiara scelta di valori che attengono alla cura della cosa pubblica, in primis ai cittadini di Taranto tutta e di quel quartiere ferito. Fare teatro, farlo per e con i ragazzi e i giovani, fare laboratori e tanto altro e cercare di farlo professionalmente bene non può prescindere dalla conoscenza e dal rispetto per i propri interlocutori. Per questo non siamo andati e non andremo via, ma non può essere solo lasciato a noi l’onere di fare vivere con la cultura un pezzo di quartiere che è parte della città tutta. Non si può girare la testa dall’altra parte, non si può accogliere sempre e solo ciò che è nuovo e “figo”, è evento.
Il TaTÀ è qui, il Crest e tutti i suoi lavoratori sono qui, alla periferia della città e alla periferia del teatro, e ci sono non perché non meritano il centro – anzi – ma perché hanno tenuto e tengono ad alcuni valori. Non ci si può lasciare soli, proviamo insieme a farci carico delle cose belle ed anche delle cose brutte della città, proviamo a dare continuità e sicurezza all’esistente, alla storia della città. E non parliamo di Magna Grecia.