“Nelle prossime ore Acciaierie d’Italia si accinge a fermare l’altoforno 2 nello stabilimento di Taranto. È un altro impianto importante che si ferma dopo l’altoforno 1 e l’acciaieria 1 fermi dallo scorso agosto”. Lo dice ad AGI Valerio D’Aló, segretario nazionale Fim Cisl. “L’azienda sta preparando la fermata di quest’impianto e noi chiediamo ad Acciaierie di essere subito convocati perchè si va incontro a ripercussioni impattanti – prosegue D’Aló -. In questo modo rimarrebbe attivo solo l’altoforno 4. E se questo dovesse produrre ghisa non buona, non abbiamo dove miscelarla, perché non abbiamo la macchina a colare, e rischiamo il blocco dello stabilimento”.
IL PD CHIEDE LA NAZIONALIZZAZIONE
“Il ministro Fitto deve venire
urgentemente in Aula a riferire su quanto sta avvenendo all’ex
Ilva. E’ una follia che il Parlamento non venga informato. La
situazione sta ormai assumendo dei contorni inquietanti, che
sembrano prefigurare addirittura l’ipotesi di messa in
liquidazione del piu’ grande polo siderurgico europeo. Fitto
deve spiegare cosa ha promesso a Mittal, dalla stampa sembra
oltre 4 miliardi per la decarbonizzazione, senza pero’ ottenere
in cambio nessun impegno e, soprattutto, il ministro deve
motivare il perche’ il governo non da’ indicazioni al socio
Invitalia per convertire il prestito e nazionalizzare l’azienda.
La nazionalizzazione dell’azienda e’ oggi l’unica soluzione per
allontanare un socio che da sempre non ha alcun interesse a
garantire la continuita’ aziendale, salvare il comparto
siderurgico e posti di lavoro e avviare una reale
decarbonizzazione. In assenza di questi passaggi il governo
sara’ responsabile della piu’ grande crisi industriale e
lavorativa che questo Paese ricordi dal Dopoguerra”. Cosi’ il
deputato democratico, Claudio Stefanazzi, intervenendo nell’Aula
della Camera sull’ordine dei lavori.
“Nei rapporti tra governo Meloni, ex
Ilva e citta’ di Taranto – ha aggiunto Stefanazzi – sembra
emergere un percorso predefinito verso un ineluttabile destino e
cioe’ quello in cui Mittal chiude il suo piu’ grande concorrente
in Europa e, attraverso la ridistribuzione delle quote acciaio,
diventa sostanzialmente monopolista. Prima il definanziamento da
parte del ministro Fitto delle risorse contenute nel Pnrr che
avrebbero dovuto garantire la decarbonizzazione. Poi
l’incomprensibile passaggio di consegne tra il ministro dello
Sviluppo economico e lo stesso Fitto, gia’ oberato da tanti
dossier. Poi il famoso memorandum, ancora oggi segreto, e
sottoscritto senza in coinvolgimento di Invitalia; infine
l’assemblea di due giorni fa in cui Mittal ha sostanzialmente
annunciato che non intende partecipare all’aumento di capitale
sociale. A meta’ di ottobre il presidente Bernabe’, audito alla
Camera ha ricordato che in questo momento Ilva non ha nemmeno la
caparra per poter rinnovare il contatto per la fornitura di gas.
Se l’azienda non ottiene rapidamente 300 milioni di euro non e’
in grado di assicurarsi la fornitura di gas e non puo’ neanche
far fronte ai debiti accumulati, a cominciare dagli oltre 200
milioni che deve alla Snam. Questo ha gia’ prodotto
ripercussioni clamorose rispetto al piano annunciato all’inizio
dell’anno.
“Probabilmente Ilva – ha concluso – chiudera’ il 2023 con una
produzione inferiore ai 3 milioni di tonnellate, e cioe’ con il
75% in meno di quello che aveva previsto come target. Non c’e’
piu’ tempo da perdere”.