Utilizza anche la vigilia di Pasqua per inviare le lettere di cassa integrazione Covid 19 ai propri dipendenti. È ArcelorMittal, che in queste ore le sta recapitando a parte del personale del sito siderurgico di Taranto. Lo si apprende da fonti sindacali. Chi ha ricevuto in queste ore la lettera, apprende dall’azienda che la cassa Covid decorre dal 14 aprile. “Le lettere suppongo siano state inviate anche ieri e l’altro ieri in via telematica ai dipendenti – spiega ad AGI Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil -. C’è chi va in cassa Covid e chi, invece, rientra al lavoro. Nelle officine, per esempio, una prima metà è stata in cassa per una settimana ed ora sarà avvicendata dall’altra metà restata al lavoro. La cassa è a rotazione ma non per tutti. Gli addetti di impianti fermi, come il Treno nastri 1, hanno già effettuato due settimane di cassa Covid”. L’ammortizzatore sociale per il Coronavirus è stato chiesto da ArcelorMittal per un periodo di nove settimane per un totale di 8173 addetti, di cui quasi 5mila operai, come tetto massimo. Nel senso che l’azienda siderurgica l’ha si chiesta per questo numero ma, in realtà, la userà per un numero minore di addetti – non ancora quantificato – non potendo essere lasciata la fabbrica deserta in quanto l’ex Ilva è una attività a ciclo continuo. ArcelorMittal, infatti, non si è mai fermata sinora. Solo dal 26 marzo al 3 aprile, un decreto del prefetto di Taranto, Demetrio Martino, emesso nell’ambito delle misure per il coronavirus, le ha impedito di commercializzare l’acciaio prodotto. Il prefetto con lo stesso decreto ha previsto che gli impianti funzionassero solo per necessità di sicurezza e salvaguardia e che venissero impiegati ogni giorno, nel periodo in questione, 3500 dipendenti ditetti e 2000 dell’indotto. Numeri di cui il sindacato ha chiesto la riduzione ma invano. L’azienda, infatti, non ha accettato le richieste sindacali.Alla scadenza del decreto, il prefetto non ha prorogato la stretta precedente e così ArcelorMittal ha ripreso a commercializzare l’acciaio, anche perché nel frattempo l’ad Lucia Morselli aveva già scritto al premier Giuseppe Conte evidenziando come lo stop alla vendita dell’acciaio significasse nuovi danni economici per un’azienda che è già in grande difficoltà da tempo. Sia per il mercato dell’acciaio, che per lo stato dei conti. “È da tempo ormai che siamo su una linea di galleggiamento – afferma ad AGI Antonio Talò, segretario Uilm -. Ora c’è il Coronavirus, ma prima non è che in fabbrica stessimo meglio”. Attualmente i numeri della forza lavoro sono rimasti invariati rispetto a quanto stabilito dal prefetto, anzi per i dipendenti diretti si è anche passati da 3500 a 3200-3100 al giorno e per le imprese da 2000 a circa 1200 unità al giorno perché, nel frattempo, ArcelorMittal ha fermato i cantieri relativi ai lavori dell’Autorizzazione integrata ambientale che impegnavano circa 900 lavoratori. La cassa integrazione Covid è stata preannunciata ai sindacati già a fine marzo, in sostituzione di quella ordinaria che da luglio scorso, per crisi di mercato, è stata chiesta (e di volta in volta prorogata di 13 settimane) per un massimo di 1273 addetti. Sulla cassa Covid non c’é stato alcun accordo tra sindacati e azienda. Ma anche su quella ordinaria solo su una proroga le parti sì sono accordate, sulle altre no. Anzi, la Fiom Cgil ha segnalato agli enti ispettivi un uso che ha giudicato distorto della cassa da parte dell’azienda. (AGI)