Riportiamo di seguito le considerazioni dell’arcidiocesi in merito all’inaugurazione di Afo 1 da parte del ministro Urso.
Non si possono ignorare i sentimenti di frustrazione ed un profondo senso di ingiustizia avvertito in queste ore da larga parte della popolazione tarantina, già lungamente provata sul piano del diritto alla vita e del diritto al lavoro. La notizia della cerimonia, svoltasi martedì 15 scorso a Taranto, per l’accensione dell’Altoforno1 dell’ex Ilva è stata percepita da moltissimi cittadini come parte di un disegno che affida ad un indistinto futuro il processo di decarbonizzazione.
Si è registrata, inoltre, l’assenza alla cerimonia di Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto, i cui rappresentanti istituzionali non hanno esitato nelle scorse ore ad esprimere disappunto e contrarietà per la riattivazione di un impianto a carbone che, al netto del revamping, risale ai tempi dell’Italsider e che era fermo dal 2023, a causa di problemi strutturali. Non sono mancate, inoltre, critiche provenienti dal mondo delle associazioni.
C’è una domanda che emerge su tutte: Perché, a distanza di 12 anni dal sequestro con facoltà d’uso degli impianti, invece, di assistere ad una cerimonia foriera di un effettivo cambiamento del sistema produttivo si celebra la riattivazione di un vecchio Altoforno a carbone, andando, tra l’altro, in direzione contraria alla prospettiva europea di decarbonizzazione? E poi: Quanto tempo ancora si dovrà attendere per il rilascio della nuova Autorizzazione integrata ambientale? Relativamente alla sicurezza dei lavoratori, la vecchia Aia è stata completata riguardo gli aspetti della normativa antincendio e della rimozione integrale dell’amianto?
Desta, inoltre, preoccupazione il picco di benzene particolarmente elevato registrato nei giorni scorsi, nonostante la produzione viaggi oggi su quantitativi estremamente ridotti.
La Chiesa non ha soluzione tecniche da offrire, ma sul saldo fondamento della sua Dottrina sociale, può solo parlare al cuore e all’intelligenza dell’umanità.
La Chiesa diocesana conferma il proprio impegno nella cura della casa comune. Il recente richiamo promosso dall’Arcivescovo Metropolita di Taranto, mons. Ciro Miniero, nel proprio messaggio per l’inizio dell’anno pastorale, a non «dimenticare ciò che la Laudato Si’ e la Laudate Deum devono significare per la nostra terra», ci ricorda che «il posto della Chiesa è su ogni calvario, in cui dobbiamo essere presenti per missione e per salvezza (…) cercando non solo di stimolare le coscienze sulle annose vicende che sembrano mai risolversi, ma soprattutto cercando di evangelizzare questi ambiti». E Taranto è calvario; lo è al punto che il Rapporto del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu (12 gennaio 2022) nel contesto della 49esima sessione su “Promozione e protezione di tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali, incluso il diritto allo sviluppo”, l’ha definita “zona di sacrificio”.
Dal 2015 papa Francesco non cessa di esortare decisori politici e semplici cittadini alla conversione ecologica integrale, una conversione che, partendo dal cuore dell’uomo, investa tutte le sfere del vivere, a partire dall’economia: «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo. Perciò è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di biossido di carbonio e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile» (Ls 26).
L’attesa di bene invoca scelte in cui il bene ad esse sotteso sia reso evidente. Chiediamoci, allora, qual è il bene che si persegue davvero nel perseverare con il ciclo integrale a carbone? Ciò non solo rispetto alle implicazioni relative al singolo Altoforno1, ma soprattutto in concreto riguardo alla più ampia prospettiva di politica industriale. Soccorre sul punto la recente sentenza della Corte di Giustizia UE sulla interpretazione della Direttiva europea in materia di emissioni dei grandi impianti industriali, pronunciata a Lussemburgo il 25 giugno 2024 proprio nella causa (C – 626/22) avente ad oggetto le installazioni siderurgiche di Taranto. Ebbene, tale decisione afferma senza più equivoci che gli artt. 35 (Protezione della Salute) e 37 (Tutela dell’Ambiente) della Carta dei diritti fondamentali della UE sono il canone di riferimento in questa materia; ragion per cui è ineludibile una previa valutazione degli impatti dell’attività dell’installazione interessata, tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana, su tutte le emissioni scientificamente note come nocive».
La Comunità di Taranto è vissuta da persone la cui attesa di bene merita risposte responsabili, capaci di assicurare – senza compromessi al ribasso – salute e sicurezza (di lavoratori e cittadini), tutelando l’ambiente vitale anche per le generazioni future.